Robinson Crusoe di Daniel Defoe è il racconto-monologo di una storia 'semplice' che è diventata uno dei libri più belli e più letti del mondo: quella di Robinson, un giovane marinaio inglese innamorato dei viaggi e dell'avventura che fa naufragio, si salva raggiungendo un'isola deserta, vive in totale solitudine per 24 anni, divide la sua solitudine per altri tre anni con il 'buon selvaggio' Venerdì, poi viene recuperato alla società attraverso una serie di circostanze avventurose e torna in patria. Ci sono stati e ci sono mille modi per interpretare questo capolavoro (che non è certamente solo un racconto per ragazzi come erroneamente viene giudicato): come un trattato sull'educazione, come un simbolo dell'etica progressista e protestante, come un racconto di viaggio, e così via. E' sicuramente un poema epico moderno dove si ritrovano temi e motivi dei viaggi omerici, ma anche un romanzo 'filosofico' e antischiavista. Certo, Robinson impersona un Ulisse moderno ma contemporaneamente è la rappresentazione vivida dell'homo economicus che si tormenta con i suoi continui esami di coscienza, i dilemmi esistenziali fra materialismo e spiritualità, fra Vecchio Mondo e Nuovo Mondo. Insomma Robinson rappresenta il mito della solitudine di ciascuno, del naufragio sempre possibile, dell'uomo che cade, si rialza, cade ancora e così perpetuamente... Libro immortale perchè semplice, con il minimo di metafore, di luoghi, di azioni, ma sono talvolta i libri semplici che riassumono meglio un mondo che diventa sempre più complesso.