Amai Garibaldi con affetto di figlio e fedeltà di soldato: lo seguii nelle sue imprese da Varese a Milazzo, dal Volturno a Condino, da Aspromonte a Mentana; vissi con lui in Caprera circa nove mesi nella dolce intimità della vita domestica, ed ebbi l’immeritata fortuna di accompagnarlo nel suo gran Trionfo d’Inghilterra; fui sovente il depositario e l’interpetre de’ suoi più nascosi pensieri, e, onore anche più grande, non mi fu negato di fargli sentire, talvolta, i consigli di quella che a me pareva la Verità; subii, come tutti coloro che l’accostarono, il fascino della sua eroica bellezza; piegai, come i più, all’impero della sua grande anima dittatoria, ma, liber’uomo in faccia al Liberatore, ne sostenni i fulgori, e seppi scorgerne le ombre; e spero che tutte queste ragioni mi giustificheranno presso ogni discreto lettore dell’audacia di scriverne la vita.
«Una delle mille!» esclamerà qualche frettoloso. Pur troppo! Anzi fra pochi giorni si potrà soggiungere: una delle migliaia! E in verità se non avessi dovuto ripensare ad altro che a quanto fu scritto in passato e si scriverà ancora in avvenire, nei secoli più lontani, intorno a Garibaldi, la tentazione di presentarmi anch’io a questo universale torneo di penne, non mi sarebbe passata pel capo. Soltanto non bisogna dimenticarsi che se la bibliografia di Garibaldi è già grande, e sarà tra poco immensa, Garibaldi lo è ancora più. Egli può dirsi, come il Shakespeare immaginato da Vittor Hugo: infinito come l’Oceano. Invadetelo da tutti i porti: navigatelo, corretelo, frugatelo in tutti i sensi, e vi resterà sempre qualche seno nascosto, qualche banco sottacqueo, qualche scogliera inavvertita, dove anche la navicella del più umile ingegno potrà ormeggiarsi e gettar lo scandaglio.
Lo so! non correranno molti anni e ci sarà una Letteratura Garibaldina, come ci è una Letteratura Omerica, Dantesca, Shakespeariana e via dicendo; ma affinchè quella letteratura possa sorgere degna del suo grande tema, ed acquistare un valore reale nella storia della nostra patria e del nostro secolo, occorre anzitutto che il pubblico dei lettori e dei critici non guardi soltanto alla mole dei libri pubblicati sullo stesso soggetto, non li misuri tutti in fascio a occhio e croce, non faccia il viso dell’arme ad ogni libro nuovo, solo perchè viene ad ingrossare la catasta de’ vecchi. Abbiamo ed avremo la farraginosa compilazione indigesta, e l’utile compendio popolare; abbiamo ed avremo la pesante orazione accademica, e lo svelto bozzetto giornalistico; abbiamo ed avremo il partigiano panegirico tribunizio e la rabbiosa invettiva clericale; abbiamo ed avremo la scialba fotografia borghese o la pettegola cronica aneddotica, e la sintesi ardita coniata in bronzo, o la greca effigie incisa in cammeo: non abbiamo ancora, ma forse l’avremo un giorno, la Vita Plutarchiana, il Poema Omerico, o il Dramma Sofocleo; e confido che in questa mondiale biblioteca non si vorrà rifiutare l’entrata anche a questo mio modesto volume, che non è ancora, s’intende bene, la storia; ma che pure aspira, senza jattanza come senza ipocrisia, a tentarne il primo saggio ed a scriverne la prima sillaba.
E forse con ciò ho già detto che questo non è un libro d’occasione. Egli segue di poche settimane la scomparsa dell’eroe; ma esso fu meditato e preparato da tempo. Frutto sudato di quasi tre anni di ricerche, di studi, di fatica, esso potrà meritare tutte le taccie fuorchè quelle della estemporaneità e della fretta. Il culto stesso, che tanto io quanto i miei giovani editori, professiamo alla memoria venerata del grande Patriotta, ci avrebbe sempre preservati da questo sacrilegio. Nè io avrei mai voluto deporre ai piedi della tomba recente di Caprera il vile tributo d’una compaginatura abborracciata, nè gli eredi dell’onorato nome di Gaspero Barbèra avrebbero mai consentito a prestar mano ad un’opera bastarda che, sfruttando una grande popolarità ed una grande sventura, mirasse soltanto ad occupare il già troppo stipato mercato librario e ad impaniare in una frasconaia di pagine rapinate il pubblico dabbene.
Ben altro fu il mio scopo; ben altra è la mia speranza. Ripensando spesso, e come non pensarvi!, a Garibaldi; riguardando a quella nova e portentosa figura di gigante, rifacendo nel mio pensiero il poema di quell’epica vita, poscia leggendo o rammentando quanto si era scritto di lui in verso e in prosa, m’era accaduto, in più d’un caso, di consentire o d’ammirare; ma poi, riepilogando le cose lette e confrontando il Garibaldi del mio pensiero con quello stampato fin allora ne’ libri, chinavo il capo con un senso di scontentezza e conchiudevo: Eppure in tutti questi volumi c’è del bello e del buono, ma il Garibaldi vero, il Garibaldi della storia, non del romanzo; della patria, non della parte; dell’amore, non dell’idolatria, è molto, ma molto lontano di qui.