Quando Spiro Tempini, con le lunghe punte dei baffetti insegate come due capi di spago lì pronti per passar nel foro praticato da una lesina, facendo a leva di continuo con le dita sui polsini inamidati per tirarseli fuor delle maniche della giacca; timido e smilzo, miope e compito, chiese debitamente alla maggiore delle quattro sorelle Margheri la mano di Iduccia, la minore, e se ne andò con quelle piote ben calzate ma fuori di squadra e indolenzite, inchinandosi più e più volte di seguito; tanto Serafina, quanto Carlotta, quanto Zoe, quanto Iduccia stessa rimasero per un pezzo quasi intronate.
Ormai non s’aspettavano più che a qualcuno potesse venire in mente di chieder la mano d’una di loro. Dopo essersi rassegnate a tante gravi sciagure, alla rovina improvvisa e alla conseguente morte per crepacuore del padre, poi a quella della madre, e quindi a dover trarre profitto dei buoni studii compiuti per arricchire squisitamente la loro educazione signorile, s’erano anche rassegnate a rimaner zitelle.