Fëdor Dostoevskij scrisse “Umiliati e offesi” al suo ritorno dalla deportazione in Siberia, nel 1861. In questo romanzo, - il quinto della sua produzione, che egli stesso pubblicò a puntate sulla rivista “Vremja”, da lui fondata, - si intravvedono alcuni dei grandi temi e degli stili narrativi presenti nelle sue opere successive: il conflitto tra padri e figli (in questo caso padri e figlie), la condanna e il perdono, l’esistenza del male, l’amore come sacrificio, il riscatto della povera gente.
La narrazione dei fatti è affidata a Ivan Petrovič (Vanja), un aspirante scrittore nel quale è possibile riconoscere un giovane Dostoevskij. È lui, Vanja, a muovere i fili dei tre nuclei narrativi che si intrecciano nel romanzo: la storia d’amore di Nataša per Alëša (figlio del diabolico principe Valkovskij, il primo grande malvagio di Dostoevskij), il conflitto tra Nataša e i genitori e la tragica storia della piccola Nelly, che Vanja cercherà di salvare.
È una Pietroburgo cupa, sporca e degradata quella che fa da sfondo ai nostri protagonisti e ai loro dilemmi morali, in una potente e spietata esplorazione della condizione umana.