'Ho per le mani un soggetto di tragedia al quale desidero dedicarmi senza indugio per terminarlo nell'inverno, se posso... è la caduta del Regno dei Longobardi, o per dir meglio della dinastia longobarda, e la sua estinzione nella persona d'Adelchi ultimo re con Desiderio suo padre'. Così Manzoni scriveva il 17 ottobre 1820 a Fauriel, annunciando l'avvio della stesura della sua seconda tragedia, l'Adelchi appunto, che avrebbe completato nel gennaio 1822. Poco rappresentata nel corso dell'Ottocento e nel nostro secolo, perché ritenuta 'bella' ma 'da leggersi' (è il parere, tra i tanti, di Pellico), l'Adelchi è, al contrario, un'opera precorritrice di quel moderno teatro dell'interiorità in cui, invece che a temi-messaggio (come ancora accadeva nel Conte di Carmagnola), i personaggi affidano la lora vita di palcoscenico ai conflitti della loro tormentosa interiorità.