Se è facile vedere che inquirenti e giudici hanno fatto in questi decenni notevoli passi avanti, ci sono meno indizi del fatto che le due maggiori coalizioni politiche capiscano davvero quel che bisogna fare: un impegno serio e coerente nella lotta contro la mafia; tolleranza zero per gli uomini politici che hanno contatti con il crimine organizzato; l’estinzione di un’economia fondata sulle sovvezioni statali, che porta a clientelismo, corruzione e controllo da parte degli interessi mafiosi.
Mafia e politica: è questo il tema dell’inchiesta di Alexander Stille, che partendo dalle stragi che hanno ucciso Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le loro scorte, ricostruisce più di trent’anni della storia di Cosa Nostra.
Perché le vicende italiane sembrano ripetersi, in maniera insieme familiare e deprimente: i delitti sanguinosi del crimine organizzato, che pare controllare diverse regioni italiane; le deplorazioni dei politici e le promesse d’intervento; le manifestazioni popolari e l’impegno dei giovani e della società civile; le denunce e gli scandali sui giornali e in tv; e finalmente le indagini e gli arresti, grazie a investigatori e magistrati abili e coraggiosi. Ma poi, ogni volta, l’attenzione dell’opinione pubblica si allenta, si riannodano i legami tra la criminalità e la classe dirigente, e le mafie riprendono il controllo del territorio. Fino alla prossima strage, alla prossima indignazione, al prossimo giro di vite.
E allora, come si è chiesto Ignazio De Francisci ripensando al sacrificio di Falcone e Borsellino, «davvero ne è valsa la pena?». Se la mafia non è invincibile, e come tutte le faccende umane ha avuto un inizio e dunque avrà una fine, quali sono le strategie più adatte per sconfiggerla?
Sono questi i nodi intorno a cui ruota Nella terra degli infedeli. Al termine della sua analisi degli ultimi anni, dal quinquennio del governo Berlusconi all’indulto approvato dal governo Prodi nell’estate del 2006, Alexander Stille conclude così la prefazione alla nuova edizione: «Se pensiamo a dieci o dodici anni fa, è difficile vedere un progresso, ma rispetto alla Sicilia di prima di Falcone e Borsellino ciò è evidente: lento, ottenuto a caro prezzo tra lacrime e sangue, ma innegabile».
Alexander Stille (1957) ha studiato a Yale e alla Columbia University, presso la cui Graduate School of Journalism insegna giornalismo internazionale. Collabora con «The New Yorker», «The Nation» e «The New York Times» ed è spesso presente nei media italiani.