Insomma, un viaggio lento e intimo, da godere in diretta e metabolizzare piano piano, tassello dopo tassello, in attesa che il continuum si faccia unicum e dunque si squaderni nel suo insieme concentrico, fino a disvelare un discorso (un percorso ora frontale ora laterale) coerente e conseguente.
“Un’avventura linguistica ora sensoriale ora trascendentale (…) Un piccolo capolavoro di ricerca che si snoda e riannoda in componimenti-talismani che, perla dopo perla, danno forma a un libro capace di contenerli e sigillarli, financo sublimarli, in tutto il loro essere incontenibili e talvolta volutamente incontinenti: un’ostrica di scrittura contemporanea seducente proprio perché esuberante anche quando sulla pagina prevalgono gli spazi bianchi o i puntini di sospensione (…) Una raccolta non certo adatta ai novellini dell’approssimazione (in quanto inclini, appunto, all’elucubratio praecox), né alle menti pigre o agre”.
Ciro Andrea Piccinini (nato postumo a Reggio Emilia, classe 1971), onirista cartivoro e ironista internettuale, vive di notte e muore ogni giorno. Adora le panchine libere, le stanze piene di memorabilia e le tasche vuote. Dormendo in piedi e monologando a braccio, scrive dove capita e legge nel pensiero. Inattuale e discontinuo, ma anche psicopompo e mistagogo, quindi apota e taumaturgo all'occorrenza, negli ultimi vent'anni ha inventato giornali e sfidato la sorte, ingannato il tempo e “giocato al dottore”, nonché, con slancio ora ortonimo ora eteronimo, sfornato testi e pigiato tasti, quindi inscenato concerti e album di piano solo in compagnia. In gioventù ha pubblicato le raccolte Sensi e controsensi (1998) e L’ultimo applauso dell’ultima amante (2001) e alcuni suoi versi, quelli più pop e rap, insomma controversi, di recente sono stati tradotti in aramaico antico e, alla bell'e meglio o alla meno peggio, marchiati a fuoco sui glutei al vento di mezza California. Grammaturgo a ore, è sicario di sé, sillabario né-né e infine sipario.