"Naturalmente oggi non sono più l'autore di questo testo. I fisiologi ci insegnano che noi ci spogliamo della sostanza del nostro corpo, e per conseguenza della nostra anima, e che la rinnoviamo con una tale rapidità, che alcuna parte di essa non dura più di otto anni. Non vi è dunque più in me il menomo atomo dell'uomo che ha scritto nel '60. L'ultimo vestigio di quell'autore è morto nel ‘68; e due successori hanno, dopo, raggiunto il morto. Non si può domandare a me, quarto della sua generazione, di prendere un interesse vivissimo ai romanzi del mio bisnonno letterario”. Questa la premessa di un racconto confuso. Come confuso è il ricordo del “mio tempo”. Fermatosi a 50 anni fa. Hanno detto: “Devo essere sincero: non ci ho capito una beneamata fava di quello che hai scritto! La scrittura è buona, addirittura eccellente talvolta; interessante lo stile che salta dalla prosa alla poesia, dal modo antico al moderno, dal linguaggio teatrale alla narrazione storica. Riesce ad essere a volte suggestiva la "nebulosità" degli avvenimenti… Alla fine mi sono reso conto di aver letto il tutto qualche volta con un certo sforzo, in altri momenti con un accenno di piacere; una sensazione vaga di... malinconia (?), ed un generico senso di incompiutezza. A rileggerti”.