«Identità è una parola avvelenata. Il veleno contenuto in questa parola così nitida e bella, così fiduciosamente condivisa, di uso pressoché universale, può essere tanto oppure poco, talvolta persino impercettibile e quasi innocuo. Ma anche quando è impercettibile, la tossicità è presente in numerose idee che la parola contiene e, accumulandosi, può manifestarsi alla lunga, in maniera inattesa e imprevista. Perché e in che senso identità è una parola avvelenata? Semplicemente perché promette ciò che non c'è; perché ci illude su ciò che non siamo; perché fa passare per reale ciò che invece è una finzione o, al massimo, un'aspirazione. Diciamo allora che l'identità è un mito, un grande mito del nostro tempo.»
Francesco Remotti, professore emerito di Antropologia culturale presso l'Università di Torino, socio dell'Accademia delle Scienze di Torino e dell'Accademia dei Lincei, ha compiuto ricerche etnografiche ed etno-storiche in Africa equatoriale e riflessioni teoriche sull'identità e la somiglianza, oltre che sull'antropo-poiesi. Tra le sue pubblicazioni, Noi, primitivi. Lo specchio dell'antropologia (Torino 1990).