Con un contributo di Salvatore Borsellino
Scarantino fu indotto a mentire
«con particolare pervicacia e continuità,
con l’elaborazione di una trama complessa
che riuscì a trarre in inganno i giudici
dei primi due processi».
Poiché ciò ha prodotto
«uno dei più gravi depistaggi
della storia giudiziaria italiana», è lecito
«interrogarsi sulle finalità realmente perseguite
dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato,
che si resero protagonisti
di tale disegno criminoso».
Sentenza Borsellino Quater,
Corte d’assise di Caltanissetta, 20 aprile 2017.
La prescrizione di Scarantino
è passata in giudicato.
Questa è la storia di un giudice ucciso due volte: da una Fiat imbottita di tritolo e da una clamorosa macchinazione di Stato che ha coperto i veri responsabili della sua morte. È la storia dell’indagine, affidata illegalmente al Sisde di Bruno Contrada e consegnata al gruppo investigativo di Arnaldo La Barbera, che si è trasformata nella più grande mistificazione giudiziaria della Repubblica.
C’è solo da leggerla, reprimendo la rabbia e l’indignazione, e raccontarla ad altri, e poi ad altri ancora, perché nessuno possa dimenticare cosa è successo in questo paese e quel che resta oggi delle indagini inquinate: un processo a tre pesci piccoli e tante domande senza risposta, nel trionfo dell’omertà istituzionale.
Ventisette anni di falsi testimoni e false verità: colloqui investigativi “anomali”, ritrattazioni ignorate, sopralluoghi mai verbalizzati, investigatori a caccia di colpevoli fasulli, magistrati “distratti” e guerre tra apparati.
In queste pagine è raccontato il depistaggio di via D’Amelio alla luce delle nuove acquisizioni e sentenze: il protagonismo dei servizi segreti e la continuità storica con le deviazioni che hanno caratterizzato la storia delle stragi in Italia, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna.