Figli senza madre: storia di un ragazzo nato da utero in affitto

· EDITRICE GDS
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Questo nuovo racconto di Giuseppe Palma, seppur frutto della fantasia, si colloca in una cornice in cui la situazione generale è del tutto realistica, rispecchiando quanto si discute attualmente nel nostro Paese in tema di “utero in affitto”, ma anche – seppur solo indirettamente – di adozione del figlio del partner dello stesso sesso (la cosiddetta stepchild adoption).
Ed è proprio in questa cornice che si colloca la storia che G. Palma ha voluto narrare.
Il racconto è ambientato nel 2042, a Milano, ed è quello di un ragazzo di 26 anni nato nel 2016 in California da una donna che “affittava” il proprio utero a due uomini italiani (in realtà ad uno solo di essi) che desideravano a tutti i costi avere un bambino, due omosessuali che – con arrogante spregiudicatezza – anteponevano il loro egoismo al diritto naturale di un bimbo di poter godere – sin dal giorno della nascita - della mamma.

Ciò premesso l’autore sottolinea – già nell’introduzione - che non c’entra assolutamente nulla, ma proprio nulla, la circoscritta felicità per la nascita di una creatura. Se dovessimo ridurre il tutto – scrive Palma - al mero concetto di nascita, non faremmo altro che giustificare la creazione della Vita anche attraverso pratiche ancor più orripilanti.

La modernità distruttrice – evidenzia l’autore sempre nell’introduzione - ha già provveduto ad annientare, anche attraverso martellanti campagne mediatiche, concetti assoluti come ad esempio quello della maternità e del diritto naturale del bambino a crescere con una mamma e un papà. Le inaccettabili forzature che intende porre in essere una certa parte politica del tutto scollegata con la realtà - ben supportata da giornalai asserviti al potere sovranazionale e dall’intellighenzia di regime – non fanno altro che privare l’Umanità dei fondamenti stessi della Natura, senza preoccuparsi minimamente né di una sana crescita dei minori né delle tragiche conseguenze cui tali forzature potrebbero condurre. A ciò si aggiunge lo smisurato egoismo di alcuni noti che, per soddisfare i propri desideri - confondendoli in mala fede come diritti -, mercificano violentemente la maternità giustificando l’obbrobrio assoluto attraverso la sponsorizzazione ideologica di concetti vuoti, i quali - impregnati d’assurdità e orrore – divengono negazione stessa sia della verità che della Natura umana.
Ma al peggio, si sa, non v’è mai limite, infatti – scrive Palma nell’introduzione - vi sono alcuni commentatori (i soliti!) che si sono spinti addirittura oltre arrivando a catalogare e confinare tali pratiche in un superficiale perimetro meramente contrattuale.

Il racconto attrae il lettore sin dalle prime pagine. Ben scritto, facile da leggere e intrinseco di messaggi e significati più o meno nascosti.

Non mancano citazioni letterarie e artistiche.
Ma v’è di più: leggendo Palma è infatti possibile ritrovare Verga (quando ad esempio descrive il seno “vigoroso” della fidanzata del protagonista così come lo scrittore siciliano descriveva quello della “Lupa”), Pirandello (una parte della storia si svolge in un caffè della stazione, esattamente come “L’uomo dal fiore in bocca”) e Dante (dal quale l’autore trae spunto in almeno due occasioni).

G. Palma ha anche cercato per quanto possibile di disegnare, seppur su confine perimetrale, quello che potrebbe essere dal punto di vista economico-sociale il nostro Paese tra una trentina d’anni.

Sceneggiatura realistica inquadrata in un racconto di fantasia.
Epilogo tutto da scoprire.

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