I cani del nulla

· Giulio Einaudi Editore
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Torna il romanzo culto di Emanuele Trevi.

Nella paura cosmica di Gina, cane dalle zampe troppo lunghe e le orecchie enormi, c'è lo sgomento della vita di fronte alla propria nullità. È questo che ci affratella agli animali: il sentimento ineludibile, spaventoso, della nostra imperfezione.

Chiunque riesca a continuare a imparare anche da adulto, chiunque mantenga la mentalità dell'allievo anche quando non va piú a scuola risulta un sapiente, un iniziato. Ed è proprio ciò che viene da pensare di Emanuele Trevi, leggendo questo bellissimo libro, pervaso com'è in ogni pagina dallo strenuo, solitario, e dunque eroico sforzo di capire le cose che l'autore ha sotto gli occhi tutto il giorno, laddove lo schema sociale cui appartiene gli chiede solamente di accumularle e amministrarle. Trevi è l'allievo; sua moglie è la compagna di banco; la loro cagnetta Gina, con le sue misteriose manifestazioni di dio minore, è la maestra; il tinello di casa, la scuola. E l'abbecedario è una struggente poesia di d'Annunzio appesa al frigorifero».
Sandro Veronesi

È l'ottusa, spudorata tenacia con cui cerca l'attenzione dei padroni a definire il carattere di Gina, «avanzo di canile municipale» tenero e sproporzionato, in cui emotività e furbizia paiono incarnare l'essenza stessa della femminilità. Una sera, davanti a una sua specie di possessione, il narratore e la moglie credono di assistere a un evento cruciale. Potrebbe essere un'epifania, invece non offre alcun insegnamento, o loro sono refrattari a coglierlo. Vivere, d'altronde, significa alimentare la confusione, accorgersi che l'inconsapevolezza cresce giorno dopo giorno. Di fronte all'esistenza, non si può provare altro che stupore panico. In fondo, come i cani di d'Annunzio nella poesia che apre il romanzo e ne è il filo rosso, gli esseri umani sono «stupidi e impudichi», e al pari del vecchio poeta capiscono infine di non essere nulla. Tra conversazioni domestiche, uccellini in gabbia, passeggiate sui marciapiedi reggendo un guinzaglio e scatole di farmaci la cui «profonda giustizia» ripara dal disordine senza rimedio del mondo, l'autore costruisce un meraviglioso romanzo digressione. Se è vero che la vita «fa grumo, non si lascia trasformare in una storia», è pur vero che Emanuele Trevi sa restituirla, nella sua miseria e nella sua rivelazione, con una grazia senza paragoni.

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