Godibilissimo, pieno di fini intuizioni psicologiche sulla mente infantile, di sottile umorismo e soprattutto di una schietta sincerità - «non so se è già completamente chiaro che ero un tiranno... un mostro» -, questo memoir ci racconta di anni passati a divorare libri e dolci, a schiantare giocattoli e comunicare con gli oggetti domestici, a rifugiarsi tra le rovine del Castello alto, vicino al ginnasio, durante le ore libere dalle lezioni, ma anche a subire assurde esercitazioni militari.
Soprattutto, Lem in queste pagine ci offre un "ritratto dell'artista da giovane": un ragazzino spesso solo, dotato di un'immaginazione, una curiosità e una capacità di sognare fuori del comune.
Ma Il Castello alto è anche una profonda riflessione sui temi della memoria, dell'innocenza e della creazione artistica: un tassello fondamentale per comprendere la vocazione letteraria dello scrittore e conoscere il tempo e il luogo in cui è nata.