Il cane e il filosofo

· Edizioni Mondadori
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«Gli manca solo la parola.» È questo che dicono di Pepe, il cane di Edo, quando lo osservano. Con un pizzico di presunzione antropocentrica pensano di capirlo e credono che lui possa provare invidia per la condizione umana, così eretta e loquace. Ma come si può entrare nella mente dell'altro e raccontarne i pensieri, le paure e i desideri, senza necessariamente inquinarli con la propria prospettiva? Edo lo sa, lo sa benissimo, che non potrà mai fare proprio il punto di vista dell'adorato Pepe. Eppure ci prova, lo legge, lo studia, lo interpreta, e attraverso quello sguardo, così limpido e lucido, vede se stesso.

Lui e Pepe sono inseparabili, sono la mente e la forza l'uno dell'altro. La loro giovinezza trascorre nel calore selvaggio di Catania, tra scuola, compiti e corse nel parco. In quelle pigre giornate siciliane felicità e spontaneità sono la stessa cosa, facili da afferrare come una pallina lanciata sul prato. Fino a che la vita non si mette in mezzo, sotto forma di università prima e di lavoro poi, e porta Edo lontano, nella fredda Milano, poi ancora più lontano, a Torino. È allora che Pepe smette di essere solo un cane e diventa la giovinezza, la Sicilia, la felicità, tutto ciò che Edo si è lasciato alle spalle. Gli imperativi umani sovrastano e schiacciano i suoi desideri più essenziali, alla leggerezza del gioco subentrano l'ambizione, il senso del dovere, la carriera, la vita diventa un affare complesso e stratificato. Per fortuna c'è la filosofia, a far ordine in questo caos. Un sostegno necessario, ma è sufficiente? Chissà cosa direbbe Pepe se potesse parlare.

Intanto parla Edo, interroga i filosofi, si appropria dei loro pensieri rielaborandoli, rincorre a braccia tese il senso della vita e del tempo. Eppure l'unica voce che continua a toccare le corde giuste, quelle più fragili e autentiche, è quella di Pepe. È così che il cane diventa «un varco verso tutte le altre creature» e il filosofo «la cassa armonica della loro storia», il primo un filosofo, il secondo un «animale qualsiasi». I ruoli si scambiano, le prospettive si confondono e nel farlo si potenziano.

Ognuno di noi ha un Pepe, rannicchiato accanto, dentro, o tutto intorno, a sussurrarci la via, spesso con il linguaggio più semplice, quello che non ha bisogno di lessico e sintassi per esprimersi. Riconoscerlo, ascoltarlo, seguirlo, non è facile, Edo ci prova da tutta una vita, perché «imparare a guardare gli animali significa imparare a muoversi insieme a loro, darsi pace con loro». E forse, solo quando dirà addio al Pepe in carne e ossa, col cuore pieno di dolore, riuscirà a farlo davvero.

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