Il popolo tradito

Chiarelettere
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La prima tappa di un work in progress che condurrà Riccardo Iacona, uno dei volti più credibili del giornalismo televisivo italiano, in un mondo a parte che è l'Italia dei quartieri abbandonati dalla politica. Le persone, le storie, le testimonianze, tutto riportato con uno stile spiazzante, in prima persona, direttamente sul posto, faccia a faccia con i personaggi. Una temperatura narrativa che scompagina tutte le più consuete ricostruzioni giornalistiche, restituendoci un ritratto dell'Italia e degli italiani come non abbiamo mai visto. Fino alla storia di Raffaellina e di suo figlio Salvatore, tredici anni, che in un giorno di gennaio del 2003 doveva essere al campetto a giocare a pallone con gli amici e invece è finito morto ammazzato. La prima stazione è Napoli, il popolo in ostaggio nel cosiddetto Lotto Zero. Un reportage duro, sincero, violento.

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Riccardo Iacona non voleva fare il giornalista. Al punto che anche quando già lo stava facendo da parecchi anni, se Michele Santoro non avesse insistito – «Riccardo, non fare il fesso, vai a fare almeno l’esame di Stato!» – oggi non sarebbe neanche giornalista professionista. È una delle tante cose che deve a Michele Santoro e a Samarcanda, Il Rosso e il Nero, Il raggio verde, Moby Dick, Sciuscià-Edizione straordinaria, le tante trasmissioni nelle quali ha lavorato dal 1988, anno in cui è entrato a far parte della squadra della terza rete Rai diretta da Angelo Guglielmi. Da quel momento in poi è entrato nel «fiume del lavoro», una trasmissione dietro l’altra fino a diventare «autore di se stesso»: da diversi anni, infatti, lavora all’ideazione e alla realizzazione di suoi programmi; prima con la serie dei «W»: W gli sposi, W il mercato e W la ricerca, poi con Case!, Ospedali!, Tribunali! e Pane e Politica; e adesso con Presadiretta, l’ultimo programma a cui sta lavorando, a partire dal quale, nel 2010, ha pubblicato per Chiarelettere il libro "L’Italia in Presadiretta"(2010). Si considera molto fortunato perché sostiene che la Rai in cui ha mosso i primi passi era in forte espansione: era nata da poco una nuova rete, tutta da costruire, ci volevano giornalisti, autori, registi, le tre reti si facevano concorrenza tra loro e si moltiplicavano le trasmissioni di approfondimento giornalistico o comunque di racconto della realtà; insomma, erano decine le botteghe aperte dove un apprendista come lui poteva imparare a usare per la prima volta gli strumenti del mestiere e nutrire qualche speranza di costruire una carriera. Tutto l’opposto di oggi, dove il segno prevalente è quello della sottrazione: meno programmi giornalistici, meno finestre aperte sulla realtà, meno innovazione e meno competizione. Risultato: più conformismo. E migliaia di ragazzi, di giovani giornalisti, che rimangono fuori della porta, alla periferia della professione, senza uno straccio di contratto. È sicuro che se cominciasse adesso non riuscirebbe a fare neanche un decimo di tutto il lavoro che ha prodotto dal 1988 a oggi. Nel 2012, ha pubblicato per Chiarelettere ‹Se questi sono gli uomini›.

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