Il ticchettio della macchina da scrivere, per Giorgio Manganelli, nasce ÂĢdai capricciosi amori di un cembalo estroso e di una mite mitragliatrice giocattoloÂģ. Non è un caso, dunque, che nei suoi "Improvvisi" unâincessante mutevolezza di melodie e di fraseggi (ossia di temi e di linguaggi) si accompagni a una tonalità ironico-umoristica percorsa da nere venature malinconiche. Gli spunti (le ÂĢarieÂģ su cui improvvisare) sono spesso offerti da un minimo fatto di cronaca, una polemica frivola, un provvedimento ministeriale bizzarro. La notizia sulle rivendicazioni sindacali dei sagrestani, per esempio, consente a Manganelli di elogiare lâoperato di queste figure avvolte di ÂĢmodesta, innocua magiaÂģ; lâattacco troppo facile della scienza alla parapsicologia lo spinge a una difesa paradossale (ÂĢbasta forse che una cosa non esista, perchÊ sia impossibile frequentarla?Âģ); e il ritorno domenicale delle targhe alterne gli ispira una pagina memorabile su chi legge Dostoevskij dopo ventâanni o si spezza una gamba per sfruttare la rapidità delle ambulanze nella città deserta. In ogni passaggio, queste improvvisazioni sono anche inversioni, capovolgimenti del senso comune. Da un lato, la quotidianità piÚ opaca assurge a una dimensione fantastica e metafisica, con la banca trasformata in ÂĢun luogo stranoÂģ, accanto alle stazioni ferroviarie, alle parrocchie di campagna e ai cimiteri. Dallâaltro, i massimi sistemi slittano in una dimensione grottesca e prosaica, perchÊ la morte â questa ÂĢcosa ridicolaÂģ â è stupida ÂĢcome è un poâ stupido sposarsiÂģ. Tutte le apparenze vengono cosÃŦ smascherate in un gioco demistificatorio che sembra fondere miracolosamente Lewis Carroll e Flaiano, e che produce lâeffetto descritto da Pietro Citati: ÂĢlacrime di gioia, furori di ilarità Âģ, che distruggono ÂĢle istituzioni, i costumi, le abitudini, la noia dellâesistenza quotidianaÂģ.