Io sono

· Il Saggiatore
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Um þessa rafbók

L'inizio del nuovo millennio coincide con l'espansione della galassia di pratiche e studi psicologici: sempre meno psicanalisi, sempre più indirizzi psicoterapeutici. E le neuroscienze, pur avendo conosciuto un incredibile sviluppo, continuano a adottare un atteggiamento funzionalista che si rivela ineffi cace nell'affrontare il disagio esistenziale e psicologico, mai come oggi così diffuso e capillare. Si avverte la necessità di una nuova epistemologia che si configuri come scienza degli stati interiori, capace di affrontare la domanda a cui le neuroscienze non rispondono – che cos'è la mente? – e organizzare un intervento terapeutico che soddisfi il radicale bisogno di senso sperimentato da ogni paziente psicanalitico. Questa nuova epistemologia, in realtà antichissima, si fonda sulla coscienza, intesa come sensazione di essere e della continuità di essere. Irriflessa, persistente, priva di relazioni, questa sensazione non abbisogna di memoria: svanite le identificazioni individuali, accantonati i particolarismi che di ciascuno di noi costituiscono il vissuto personale, rimane un sentire che non nasce, non muta, non muore. In questa prospettiva di superamento dell'io si individua un percorso terapeutico sismico, che, dopo il franamento degli strati geologici rappresentati dalle peculiarità psichiche, passa attraverso l'istante in cui la coscienza esperisce il proprio autoriconoscimento e dunque la ricomposizione di ogni frattura, di ogni dualità: di ogni trauma. Strumento privilegiato per l'emersione di questi «istanti coscienziali» è il testo: se infatti ciascuno di noi vive nel mondo in base a un'idea di leggibilità del mondo stesso, è precipuamente nel testo letterario – attraverso modalità e strategie come lo zero tragico identificato da Friedrich Hölderlin e la sagomatura e la trasmissione del vuoto – che per un istante, come quando ci si sveglia, non si ascolta, non si vede, non si pensa: si sente soltanto che si è e si fa l'esperienza irrinunciabile dell'unicità. In questo saggio che è anche una dichiarazione dirompente di poetica, lucida e senza esitazioni, Giuseppe Genna indaga una faglia ancora inesplorata – fra lo scientismo intransigente dell'epistemologia classica e le esperienze concrete dei metafisici occidentali e orientali – e, pur senza rinunciare alla solidità quasi materica della struttura argomentativa, solleva il lettore sopra la voragine dove l'io svanisce – e non c'è più paura.

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