Un piccolo testo sul più grande rimosso del nostro tempo. Queste pagine sono dedicate all’ipotesi di “umanizzazione” del dolore estremo cioè di una sua de-naturalizzazione. Ogni lettura che se ne possa fare, sia esistenziale che fenomenologica è condizionata dal piano personale, dal modo con cui l’io elude o problematizza la possibilità della sofferenza e il proprio epilogo. Per millenni si è implorato “Kyrie Eleison”, Signore abbi benevolenza, Signore pietà. Ma oggi è alla tecnica che si chiede di salvarci non al Dio della compassione. Il dolore nel mondo è l’evidenza dello stato di brutalizzazione della persona e di una condizione di insufficienza rispetto alla smisurata potenza della tecnica dispiegata. La nuova terra promessa della fattività e dell’interesse finanziario è ora il santuario dell’umano: il tempo vivente. Proprio perché tutto sarà possibile grazie alla tecnoscienza dobbiamo evocare la parabola di Cristo se pure con parole nostre: date alla Tecnica ciò che è della Tecnica e allo Spirito ciò che è dello Spirito, affinché l’uno sia misura dell’altro. Il progetto dell’umanizzazione raccoglie la rosa recisa e la pone nel bicchiere affinché sia ancora una rosa fino all’ultimo nel suo “essere senza perché” come tutte le rose.