Un giorno d’estate del 1914 Marcel parte per la guerra. Parte con un volto da bambino e con addosso l’odore del fieno, degli animali e del sudore di un giovane contadino del secolo scorso. Torna con un volto che non è nemmeno piú quello di un uomo. Ha un’orbita vuota al posto di un occhio, un ammasso di cicatrici sul lato sinistro, lo zigomo distrutto e, anziché l’odore del fieno, la puzza di alcol e di etere addosso. Éléonore, la cugina, non chiede da quale regno dei morti sia tornato, lo accoglie a braccia aperte e lo sposa. Marcel falcia la terra incolta, tira l’aratro al posto delle vacche perdute, lavora senza tregua nel porcile. Al cadere della notte si ubriaca. L’alcol lo calma oppure gli accresce la sofferenza. Dopo piú di mezzo secolo, nel 1981, la fattoria è ancora lí, con la vecchia Éléonore, il figlio Henri e i nipoti. La porcilaia, però, non è piú quella di Marcel: è diventata un enorme allevamento industriale fatto di recinti di due metri per tre che ospitano ciascuno da cinque a sette maiali che sguazzano nelle loro deiezioni. Sistemate su grigliati, in box stretti, le scrofe figliano in piedi, lasciando cadere i piccoli come sterco sul suolo duro. Come un despota antico, Henri guida quella «fabbrica dei maiali» e sprona i figli a prendersene cura. Joël, però, il figlio minore non può fare a meno di chiedersi quale mostruosità abbia partorito quella pestilenza che lo assale ogni mattino. Per Serge, invece, il maggiore, assecondare il padre è un punto d’onore. Gli capita, tuttavia, spesso di essere ebbro di alcol; un’ebbrezza leggera ma costante, che lo aiuta a mettere piede nella porcilaia dove il letame dilaga, incrosta gli stivali, spruzza le mani. Henri non cessa un solo istante di pensare a come guadagnare in efficienza e in produttività, mettendo magari piú capi sui grigliati o costruendo nuovi edifici. Tutte le sue speranze sono riposte in un verro di quattrocentosettanta chili, alto un metro e quaranta al garrese per quattro metri di lunghezza. È il risultato di anni di selezioni e incroci ingegnosi. È la Bestia, un distruttore sorto dalla follia umana mascherata da razionalità economica. «Romanzo sensazionale, duro, vertiginoso, ambizioso» (L’Express), Regno animale è l’opera di un nuovo grande talento, apocalittico, violento... una voce furente che annuncia la barbarie in corso. Romanzo finalista al Prix Goncourt, al Prix Médicis e al Prix Femina. Vincitore del Prix du Livre Inter. "Il talento di Jean-Baptiste Del Amo è impressionante, la sua scrittura è tagliente, sensuale, chirurgica". Bernard Pivot "Unendo i risvolti tragici di un romanzo familiare alla descrizione della brutale evoluzione del rapporto degli uomini con gli animali, Del Amo mostra l'apocalisse che, in nome della razionalità economica, sta conducendo l'umanità alla follia" Le Monde "Tra i migliori 20 libri dell'anno. Un romanzo duro, violento, crudo, di un realismo che sfiora l'insostenibile". Lire