Per tutta la vita Borges ha accompagnato la sua attività di scrittore con quella di critico – o meglio: di appassionato promotore degli scrittori che amava, non di rado ignoti ai suoi compatrioti. E ha esercitato questa attività – che avrebbe rivelato una imprevista geografia letteraria – in maniera insieme affabile e imperiosa, attraverso i suoi interventi sui periodici, le traduzioni (da Virginia Woolf, Gide, Kafka, Faulkner), le antologie – e soprattutto i prologhi. Come quelli qui radunati, che rappresentano una geniale forma di critica, capace di "andare all’anima delle cose", facendo così echeggiare di volta in volta «il fumo e il fuoco di Carlyle, padre del nazismo, le narrazioni di un Cervantes che non aveva ancora smesso di sognare il secondo Don Chisciotte, il mito geniale di Facundo, la vasta voce continentale di Walt Whitman, i deliziosi artifici di Valéry, la scacchiera onirica di Lewis Carroll, i rimandi eleatici di Kafka, i concreti cieli di Swedenborg, il suono e la furia di Macbeth, la sorridente mistica di Macedonio Fernández e la disperata mistica di Almafuerte». Ma capace anche di assumere la forma più adatta all’oggetto: la «biografia sintetica», ad esempio, dove si concentra un’intera opera e aleggia una deliziosa ironia; o il ritratto alla Boswell (indimenticabile quello di Macedonio Fernández); o ancora l’identikit di figure sfuggenti come il gaucho e il fuorilegge. E non importa se di fronte ad alcuni degli autori qui presentati ci sentiremo in territorio ignoto: scoprendo ciascuno di loro scopriremo un’intera costellazione – oltre che qualcosa di Borges e della «letteratura secondo Borges».