ยซPoesia รจ lโarte di caricare ogni parola del suo massimo significatoยป scrisse Pound una volta โ e Simone Weil: ยซche ogni parola abbia un sapore massimoยป. Sono regole convergenti a cui Cristina Campo sempre si attenne, con lo scrupolo fin troppo crudele che le faceva dire di sรฉ: ยซHa scritto poco e le piacerebbe aver scritto menoยป. Cosรฌ tutta la sua opera in versi รจ racchiusa in questo libro, che in gran parte si compone di traduzioni, come lโopera in prosa sta tutta negli ยซImperdonabiliยป. Dopo una esile raccolta del 1956, ยซPasso dโaddioยป, che ci offre insieme la fragranza di una voce che si scopre e un presagio del duro rigore della Campo, da sempre dedito ยซa insolubilmente saldare / a inguaribilmente separareยป, le sue poesie sono tutte sparse, fino al poemetto ยซDiario bizantinoยป, che apparve pochi giorni dopo la sua morte. E forse da questi ultimi versi, come da una specola vertiginosa, da un ยซmondo celato al mondo, compenetrato nel mondo, / inenarrabilmente ignoto al mondoยป, occorrerebbe partire per capire tutta Cristina Campo. Da questo osservatorio ormai inaccessibile capire come per lei il senso acuminato dello stile si proiettasse sul fondale di un ยซaltroยป cielo, lร dove traluce ยซla Bellezza a doppia lama, la delicata / la micidialeยป, lโunica che la toccasse e di cui finรฌ per riconoscere i simulacri soltanto nel respiro iconico della liturgia bizantina. A nulla della poesia italiana del nostro tempo possono essere avvicinate queste liriche, ma piuttosto a Simone Weil e a John Donne, a Hofmannsthal e a W.C. Williams, a Herbert e a Juan de la Cruz, tutti autori dei quali la Campo ha lasciato traduzioni che sono altrettanti esercizi di metafisica simbiosi.