È un paradosso, Daniele. In lui convivono il blues e il rock 'n' roll, il bianco e il nero, il buio e la luce. Grazie alla sua energia esplosiva e alla sua voce suadente ha realizzato da giovanissimo il sogno di lavorare come speaker in radio. Da quel momento è stato un crescendo: dopo la radio è arrivata la televisione, e con essa l'impressione nitida che la sua vita avrebbe potuto risplendere sempre, se solo avesse continuato a essere se stesso. Fino al momento in cui si è interrotta, la sua ascesa sembrava inarrestabile. Di fronte alle prime critiche, alle prime prese in giro, ai primi rifiuti, Daniele, improvvisamente indifeso, si è trovato a fare i conti con la faccia nascosta della sua luce: l'insicurezza, la fragilità di chi si sente nudo di fronte al mondo eppure a quel mondo vorrebbe andare incontro, il terrore di non essere all'altezza del palcoscenico che si era guadagnato, il timore di non riuscire a incanalare le proprie energie in modo positivo, ma solo per diventare la versione peggiore di sé - un uomo che vive nel totale isolamento, bottiglia di whisky alla mano, preda di quella che comunemente si chiama depressione.
«Non credevo di riuscire a tornare alla vita. Poi mi sono schiantato sul fondo del mio personalissimo abisso e sono andato in pezzi. Solo allora mi sono accorto che alcuni di quei pezzi erano schegge di luce: l'amore per mia figlia, l'unione profonda con mia moglie, la sacralità della mia famiglia; gli alberi che frascheggiano al vento, la sensazione del sole sulla pelle, i fiori nel nostro giardino.»