Dopo A Cesare e a Dio, Emanuele Severino prosegue la sua analisi della civiltà occidentale allargando in modo decisivo l'orizzonte. Nell'apparente contrapposizione tra ''Cesare'' e ''Dio'' si esprime solo una delle due anime che abitano il nostro petto, quella della follia estrema. L'altra anima nostra è la ''gioia'', intesa non come semplice stato psicologico ma come la gioia del tutto, che è insieme la ''verità'' del tutto, e che sta già da sempre al di là dell'anima dell'Occidente. L'uomo è il luogo della loro contesa, dove forse si prepara il tramonto della follia. Ma che cos'è la follia? Uno dei suoi tratti emergenti è la persuasione che le cose (e quindi l'uomo) nascono e muoiono. Potentemente al di fuori di ogni nichilismo, di ogni sfiducia e lamento sulla miseria della vita, Severino mostra in queste pagine che al di sotto della sua disperazione l'uomo è l'eternità della verità e della gioia. E che la gioia nascosta può diventare manifesta lungo una ''strada'' che differisce essenzialmente da tutto ciò che la nostra cultura ha inteso con questa parola.