ÂŦLa vita ÃĻ un film a lieto fine, basta restare onesti e non mollare maiÂŧ amava ripetere Paolo Farinetti, il ÂŦcomandante PaoloÂŧ che, a capo della XXI brigata Matteotti ÂŦFratelli AmbrogioÂŧ, combattÃĐ i nazifascisti sulle colline delle Langhe durante la Resistenza. E infatti, lui non ha mai mollato, nÃĐ allora nÃĐ dopo. PerchÃĐ Paolo, quella scelta di battersi per la giustizia e per la libertà l'ha fatta una volta per tutte. Nato da poverissimi contadini su quelle colline della ÂŦmaloraÂŧ rese celebri da Fenoglio, il ventenne Paolo, colpito da una brutta peritonite, alla fine del 1943 rifiuta di tornare sotto le armi e sceglie di diventare un ÂŦribelleÂŧ e di ÂŦsalire in montagnaÂŧ. Dove l'iniziale avversione per la retorica guerrafondaia del fascismo matura presto in una coscienza politica chiarissima: lui e i compagni che hanno condiviso la sua scelta sono lÃŽ perchÃĐ vogliono un'Italia diversa, piÃđ libera e giusta. Dapprima inquadrato nelle formazioni autonome del comandante ÂŦazzurroÂŧ Mauri, Paolo, con un'intuizione decisiva, sposta il teatro operativo del suo gruppo dalla montagna alle piÃđ familiari colline albesi e alla bassa Langa, dove puÃē contare non solo sulla conoscenza del territorio ma soprattutto sul sostegno della ÂŦsuaÂŧ gente pronta a offrirgli collaborazione, riparo, cibo, abiti, informazioni. Diventato il carismatico ÂŦcomandante PaoloÂŧ grazie alla capacità di conciliare il coraggio indomito con la prudenza e l'umanità , compie gesta tanto spericolate ed eclatanti da suscitare presto intorno a lui e alla sua brigata un alone di leggenda. Anche perchÃĐ usa la forza solo se necessario, preferendo catturare prigionieri da scambiare piuttosto che uccidere. Sono imprese giudicate quasi impossibili, come i sabotaggi alla linea ferroviaria che porta ad Asti, o che hanno il sapore della beffa, come la liberazione dal carcere del capoluogo langhese di una dozzina di partigiani condannati a morte, messa a segno senza sparare un solo colpo. E poi, nell'ottobre 1944, la partecipazione alla prima occupazione di Alba, durata solo ventitrÃĐ giorni, ai quali seguirono i rastrellamenti a tappeto e le ritorsioni dei nazifasciti in un autunno e un inverno durissimi. Fino al successivo tentativo di riprendere la città , azione durante la quale una sventagliata di mitra lo colpisce a una gamba. E proprio da ferito, su una scalcinata ambulanza, entrerà in Alba, definitivamente liberata il 26 aprile 1945. La sua epopea rivive oggi nel racconto appassionato e appassionante che ne fa il figlio Oscar, che per la prima volta dà voce ai ricordi di quei mesi, ascoltati dalla viva voce del padre, rivelando alcuni particolari inediti del ÂŦtesoro della IV armataÂŧ e del controverso episodio della rapina del '46 in cui lui fu ingiustamente coinvolto. Quel padre che partigiano lo ÃĻ stato per sempre, le cui regole di vita erano semplici ma inderogabili: le persone sono piÃđ importanti delle cose, i dubbi sono meglio delle certezze e le critiche meglio dell'adulazione, distingui tra il difficile e l'impossibile e sappi individuare le priorità , non mollare mai. Regole riassumibili in quel ÂŦmangia con il paneÂŧ, il mantra che Oscar si ÃĻ sentito ripetere spesso dalla nonna paterna Teresa, vero filo rosso di una filosofia di vita che attraversa le generazioni della famiglia Farinetti.