Dopo Il fondamentalista riluttante, in cui si racconta l'andata-e-ritorno nel mondo occidentale di un giovane pakistano di buona famiglia, Changez, laureato a Princeton, analista finanziario rampante e «giannizzero» dei tempi moderni, in Come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente Mohsin Hamid presenta la storia di un'altra ascesa. Questa volta, però, Hamid cambia classe sociale, ambientazione e voce, proiettando il lettore quasi direttamente nei panni del «tu» protagonista, cui è rivolto il suo peculiare libro di autoaiuto. Dal poverissimo villaggio di una non meglio precisata nazione dell'«Asia emergente», il «tu» protagonista muove il primo passo: l'urbanizzazione. Da qui, sempre guidato all'apparenza dalle istruzioni a volte singolari del manuale, il protagonista si appresta a conquistare la ricchezza a tappe forzate, facendosi un'istruzione, evitando (senza troppo successo) d'innamorarsi, scansando gli idealisti e i gruppi religiosi, ricorrendo a mezzi poco ortodossi. E dell'Asia, nel corso di questa ascesa, emergono anche i lati oscuri o sommersi: la violenza, la corruzione che rende indispensabile «farsi amico un burocrate», la presenza pervasiva anche nella vita economica dei militari, «artisti della guerra». Finché anche il «tu» protagonista di Come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente finirà, in maniera ironicamente speculare al Changez del romanzo precedente, per doversi «concentrare sui fondamentali»: stavolta, però, non per poter decidere freddamente della vita o morte finanziaria di un'impresa, ma per salvare la sua di fronte allo spettro del fallimento.
Narrata con uno stile essenziale e pervasa da un'ironia che solo in apparenza sfiora il cinismo, la parabola paradigmatica e al contempo umanissima dell'ambizione personale si rivela alla fine, come per i poeti del sufismo, una storia d'amore delicatamente struggente.
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«Con Come diventare ricchi sfondati nell'Asia emergente, Mohsin Hamid si riconferma uno degli scrittori piú inventivi e dotati di talento della sua generazione».
Michiko Kakutani, «The New York Times»
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«Una versione globalizzata del Grande Gatsby».
Alan Cheuse, «NPR»