Non fatevi rubare la speranza

· Edizioni Mondadori
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I primi passi del pontificato di papa Francesco hanno lasciato tracce profonde in tutti, credenti e non credenti, per il linguaggio familiare, la semplicità e la potenza dei suoi umili «segni», la sensibilità verso le emergenze sociali, dalla piaga della povertà al dilagare delle guerre, in ogni angolo del mondo. Ma sta emergendo con forza anche la profondità della sua sapienza dottrinale e l'originalità del suo approccio alle Sacre Scritture. Nelle riflessioni di Jorge Mario Bergoglio raccolte in questo ricchissimo testo - e declinate nell'orizzonte teologico della speranza - ritroviamo sia lo stile comunicativo denso di colore e vivida concretezza che ci è ormai familiare sia le questioni centrali del suo messaggio di pastore della Chiesa: l'ambizione che indurisce il cuore dell'uomo, la forza che gli deriva dalla preghiera e dalla ricerca del perdono, la necessità di una nuova dimensione della politica per superare la crisi della postmodernità e sconfiggere individualismo e totalitarismo, forme speculari della perdita di libertà della persona.
Senza indugiare nell'astrazione dogmatica, Bergoglio mostra come la sua più pressante preoccupazione sia l'orientamento esistenziale del cristiano, che deve tornare a caricare su di sé le sofferenze del prossimo: «avvicinarsi a ogni carne dolente» senza timore, con la consapevolezza dei propri limiti e senza mai perdere di vista la corporeità della resurrezione di Cristo. La speranza legata a quell'evento glorioso è la sola energia capace di trasformare le nostre debolezze e sconfitte in forza e fiducia nella salvezza, sostenendoci nelle difficoltà di ogni giorno.
Meditando sugli Esercizi di sant'Ignazio di Loyola e sulle Costituzioni gesuitiche, Bergoglio affronta anche il tema scottante della corruzione - nella fattispecie più odiata e odiosa, quella dei religiosi - e offre una soluzione valida per tutti, consacrati e laici, per scovare la radice della tenebra e trovare la via d¿uscita. Il male, per lui, nasce dalla «stanchezza della trascendenza», che spinge l'individuo corrotto (servo di un tesoro che non è l'amore di Dio) a perdere il pudore, a non chiedere più perdono, a sentirsi capace di salvarsi senza Cristo, che invece non si stanca mai di perdonare. Perché è solo affidandosi a Lui che l'uomo smarrito dei nostri giorni può essere veramente libero e ritrovare il coraggio di «sperare contro ogni speranza».

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