Non ci sono fate e sortilegi in queste fiabe, e il lieto fine non è la regola. Vi si racconta di una rondine che muore di freddo per donare ai poveri l’oro che ricopre la statua del Principe felice; di un Usignolo che si trafigge il cuore con la spina di una rosa; di un Gigante egoista che sconfigge il gelo del suo giardino e della sua anima; di una Infanta capricciosa che si prende gioco di un nano deforme ma appassionato. Scritte da Oscar Wilde fra il 1885 e il 1891 per i figli Cyril e Vyvyan e «per tutti coloro che dei bambini conservano la meraviglia», queste fiabe malinconiche e amare non nascondono la crudeltà e l’egoismo degli uomini e nemmeno le sofferenze della vita, ma ne suggeriscono gli antidoti: generosità, compassione, altruismo. «Raccontare una storia con la morale è sempre pericoloso», sosteneva Wilde, eppure in queste fiabe una morale c’è: l’unico, vero, potente talismano è l’amore.