L'8 settembre 1943, quando dopo 1201 giorni di guerra il maresciallo Pietro Badoglio, capo del governo, annunciò la firma dell'armistizio con gli Alleati, circa seicentomila soldati italiani si trovavano rinchiusi nei campi di prigionia che inglesi e americani avevano allestito in varie nazioni del mondo, dall'Egitto all'Algeria, dalla Palestina al Kenya, dal Sudafrica all'India, e persino alle Hawaii. "Ma tu con chi stai, con il duce o con il re?" fu il dilemma di fronte al quale si trovarono i nostri soldati, colti di sorpresa dall'annuncio della resa senza condizioni accettata dall'Italia e dalla conseguente fuga di Vittorio Emanuele III a Brindisi: dopo avere combattuto per anni contro un nemico preciso e riconosciuto, bisognava scegliere, all'improvviso, se passare o no dall'altra parte della trincea. Di questa massa enorme di giovani - l'età media era di 23-24 anni - una cospicua minoranza scelse di non "tradire", ma gli storici, sia per la scarsità delle fonti ufficiali sia per la "delicatezza" politica dell'argomento, non se ne sono occupati che in maniera superficiale: ancora oggi, gran parte delle notizie utili a una ricostruzione ampia e articolata di quegli anni convulsi e contraddittori ci giungono da pagine autobiografiche o dai resoconti memorialistici dei protagonisti. Molti dei quali, avendo risposto di no all'appello di Badoglio a rientrare in patria, anche per non subire odiose discriminazioni, che in realtà ci furono, preferirono il silenzio.
Tra loro personaggi importanti come Alberto Burri, Vincenzo Buonassisi, Giuseppe Berto, Gaetano Tumiati, Nino Nutrizio - diventati poi celebri artisti, scrittori e giornalisti. Ciononostante, una certa "vulgata" storiografica ha continuato a ignorare l'esistenza dei soldati italiani imprigionati nei campi inglesi o americani: a lungo incerti se abbandonare o meno idealismi politici e cieche ubbidienze "all'idea", avevano rifiutato le lusinghe dei loro detentori - decisi a farne dei "cooperatori" - con il rischio di patire, talvolta, pesanti conseguenze fisiche e psicologiche. Lontani migliaia di chilometri dalla loro patria, andarono incontro, vuoi per fedeltà ideologica al fascismo (e poi alla Rsi), vuoi per orgoglio o, più semplicemente, per coerente dignità militare, a un futuro denso di incognite e di rischi.
Quelli che dissero no restituisce voce e memoria ad alcuni di quei protagonisti e riporta alla luce una tessera significativa, spesso rimasta in penombra, di quel mosaico di esperienze e avventure personali che ha caratterizzato l'"altra Resistenza".