Terrore e idiozia

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· Edizioni Mondadori
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Venerdì 13 novembre i terroristi sono tornati a colpire Parigi e con gli attentati allo Stade de France, al Bataclan, ai bistrot, hanno mirato al cuore della civiltà europea. Dopo l'attacco a «Charlie Hebdo», siamo scesi nelle strade a difendere le nostre libertà e gridare la nostra indignazione; dopo la strage al Bataclan siamo scesi in guerra. Messe così, le cose sarebbero sì tragiche, ma almeno logiche. Il fatto è che la verità appare diversa, più complessa. Le forze di polizia e gli organi di sicurezza europei non sembrano riusciti ad arginare la sfida lanciata dal terrorismo islamista. DIISH, ISIS, IS: le sigle cambiano, ma le bandiere nere del califfato continuano a svettare su un'ampia porzione del Vicino Oriente, spuntano anche in Africa e sono ormai giunte a seminare morte e terrore in Europa. La Francia e poi la Russia hanno avviato alcuni bombardamenti, e del resto ce n'erano già stati dall'estate del 2014. Ma siamo sicuri che questa guerra si vinca con i bombardamenti a tappeto? E cosa ne è stato delle guerre precedenti? L'Afghanistan, l'Iraq, la Libia: abbiamo finora fatto soltanto errori, o abbiamo commesso anche qualcosa di peggio (crimini a parte)? Molti dubbi ci colgono. Non sarà che, come diceva Bertolt Brecht, mentre marciamo contro il nemico è il nemico che marcia alla nostra testa? Il califfo vuole seminare il panico e spingerci ad attaccare indiscriminatamente per dimostrare ai musulmani sunniti che noi siamo davvero nemici non suoi, ma loro. Perché facciamo il suo gioco? In Terrore e idiozia si riflette su quali siano gli strumenti per affrontare questa guerra asimmetrica: «Le armi delle quali disponiamo sono le seguenti: intelligence, infiltrazione, informazione corretta, massima collaborazione tra musulmani e non musulmani contro il comune avversario terrorista, mantenimento della calma e svolgimento di una normale, serena vita civile nelle nostre città». Finora non ci siamo ancora arrivati.

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