Traduzione integrale e cura di Paolo GuzziÈ questo uno degli scritti raccolti nel volume I paradisi artificiali, pubblicato nel 1861, insieme ad altri saggi sul vino e sull'hashish. È un testo piuttosto insolito, una lettura ragionata e critica e insieme una traduzione di numerosi passi delle Confessioni di un oppiomane inglese, pubblicato una quarantina di anni prima da Thomas De Quincey. Quest'opera fornì a Baudelaire l'occasione per ribadire la propria teoria estetica: per Baudelaire, come per De Quincey, l'oppio induce chiarezza mentale, acuisce le potenzialità del genio, stimola al sogno, suscita immagini feconde e colte fantasticherie. Solo in seguito ad assuefazione il processo immaginativo diviene sempre meno dominabile e si perde ogni capacità di lavorare. Esempio tra i più elequenti delle brillanti capacità critiche di Baudelaire, questo testo si avvale di un tono discorsivo spesso ironico e disinvolto. Charles Baudelairenato a Parigi nel 1821, a soli diciannove anni abbandonò la famiglia e iniziò una vita sregolata e bohémienne, segnata anche da difficoltà economiche e dall’uso dell’alcol e delle droghe. Partecipò alla rivoluzione del ’48, ma presto si allontanò dagli ideali socialisti. Tra il 1864 e il 1866 visse in Belgio. Morì a Parigi nel 1867. La Newton Compton ha pubblicato il volume Tutte le poesie e i capolavori in prosa e I Fiori del Male e tutte le poesie e Paradisi artificiali anche in volumi singoli.