Storia di una passione che si tinge di follia, "L’Incantatore" può essere considerato, come Nabokov stesso ha scritto, il «primo, piccolo palpito» di "Lolita". Qui lo sfondo su cui si muovono i tre personaggi – un quarantenne vizioso, un’innocente ragazzina di dodici anni e la sua patetica madre malata – è la Francia di fine anni Trenta, da Parigi alla Costa Azzurra, meta finale dell’affannoso viaggio del protagonista con la sua piccola vittima. Protagonista che appare, attraverso il prisma dell’ironia nabokoviana, sotto luci contrastanti: da un lato essere perverso che osa l’impossibile per soddisfare i suoi fantasmi, dall’altro uomo che nei rari momenti di lucidità vuole fuggire da se stesso e, terrorizzato, cerca di riscattarsi. Nabokov tratta questo groviglio con stupefacente maestria stilistica, alternando i registri più discordanti: all’asciutta cronaca dei fatti accosta incursioni in zone allucinatorie, alla dissezione psicologica si mescolano distorsioni visive e percettive che trasmettono al lettore i turbamenti e le oscillazioni psichiche del protagonista. Ma a scandire il ritmo del romanzo sono soprattutto l’incalzare della suspense e il beffardo gioco degli imprevisti disseminati dal destino sul percorso tortuoso di chi, intento a ordire la sua trama, corre verso la rovina.