— Ebbene trionfi, trionfi, trionfi.
Ma Silla prima aveva avuta l’imprudenza di dare l’appellativo di Magno al giovine Pompeo, forse perchè nell’assiduo altalenare dell’umor suo, tormentandolo i pidocchi meno del consueto in quel punto, e sperando di guarirne, erasi sentito trasportare alla bontà ed all’entusiasmo.
Così dunque venne decretato il trionfo.
Nella prima parte della mattina, che i Romani chiamavano diluculum, il campo Marzio era tutto occupato dalle soldatesche reduci dall’Africa. Il campo Marzio, il quale era situato in modo da invadere parte dell’area dove dopo Cesare fu il circo agonale ed oggi v’è la piazza Navona, era come il dietro le scene, dove apprestavasi tutto ciò che, nell’ora che chiamavasi mane ad meridiem, doveva passare in processione lungo la via trionfale sotto gli occhi del popolo romano. Alla quadriga in cui doveva sedere il Magno Pompeo erano già aggiogati quattro elefanti, chè così egli aveva voluto, disdegnando i cavalli; ma gli apprestatori del trionfo e della sua parte decorativa essendosi accorti che que’ quattro enormi bestioni non potevano passare per l’arco posticcio stato eretto all’uscita del campo Marzio, mandarono tosto due centurioni veterani alla casa di Pompeo per avvisarlo dell’inconveniente.
Il giovane ventiquattrenne stava nel suo cubicolo; sul letto, poco più alto del pavimento, coperto d’una gran pelle d’un libico leone che egli stesso aveva ucciso, era apprestato l’abito trionfale, fatto di porpora, il quale veniva chiamato toga picta, ovvero tunica palmata; v’era pure una corona d’alloro, e un ramo d’alloro. Traducendo quell’intima scena romana nel più umile volgare moderno, quella stanza del magno eroe pareva il camerino d’un tenore serio celeberrimo, che ripetendo sotto voce la grande aria di sortita, presenta già gli applausi strepitosi del pubblico in delirio.